Smart Work, sicuramente il futuro, ma non così!

Il principale ostacolo allo smart work come modalità di lavoro diffusa è la mancanza di infrastrutture. Troppe zone d’Italia non sono coperte da connessioni internet ad alta velocità, e troppo spesso non sono proprio coperte da connessioni internet.

Si pensa troppo spesso che basti la volontà ed un computer per fare smart work, ma non è così. La Fondazione Studio Consulenti del Lavoro evidenzia come ci sia una notevole differenza tra lo Smart Work e l’Home Working. Lavorare in smart work significa lavorare all’interno di un’organizzazione che permetta di svolgere gli stessi servizi, con orari ben definiti, ma in qualsiasi luogo. L’home working, quello che quasi tutti hanno sperimentato durante il lock down è semplicemente il lavoro da casa. La differenza è abissale per i diritti del lavoratore, per il suo modo di lavorare serenamente e di vivere una vita tranquilla non fatta solo di lavoro. È anche abissale la differenza per le aziende, per il rendimento che quel lavoratore ha e per i risultati che riesce a portare a termine.

Dobbiamo tenere bene a mente una cosa: lo smart work è una modalità di lavoro subordinato, non parasubordinato o autonomo.

Non si può dimenticare che anche lo smart work è lavoro e deve quindi sottostare a delle norme e degli obblighi di sicurezza sul lavoro. I rischi sono certamente molto diversi, meno fisici e più psicologici, ma sono comunque rischi da tenere in considerazione ed affrontare.

Non venga poi in mente di pensare ad una regolamentazione sulla sicurezza che sia fatta di contratti collettivi. La sicurezza è tale se è per tutti, altrimenti non è sicurezza. È necessario rivedere ed espandere la legge 81/2001. I contratti collettivi sono diversi da settore a settore e non possiamo pensare che la sicurezza di qualcuno sia maggiore o minore in base al settore in cui è occupato.

Essere sicuri nel proprio lavoro e poterlo svolgere agilmente è sicuramente un’ottimo risultato che ancora oggi manca in queste modalità, non dobbiamo però ricordare che esiste una diversa forza tra datore di lavoro e lavoratore. Rispose a questa esigenza la legge 300/1970, ma quando il legislatore ha scritto l’articolo 4 sul telecontrollo non poteva certo immaginare le condizioni e la tecnologia di 50 anni dopo, ossia oggi.

È vero che lo smart work è stato inserito per la prima volta nell’ordinamento dalla legge Bassanini nel 1997, ma è anche vero che nel 1997 erano davvero in pochi ad avere un telefono in tasca, oggi tutti ci portano un computer.

Bisogna avviare una seria riflessione, basata sullo studio dell’avanzamento tecnologico, su quelle che sono le condizioni di smart work, quelli che sono i rischi e quelle che dovranno essere le soluzioni.

Pubblicato da Lorenzo Bernardini

Nato nel 1996. Appassionato di politica sin dai primi anni del liceo. Ho studiato diritto del lavoro all'università di Bologna, oggi lavoro come impiegato in uno studio di consulenza del lavoro. Interessato alla tecnologia per svago.

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