Il risveglio delle politiche giovanili

Sabato 3 Settembre 2022 la Federazione provinciale del PD di Bologna ha convocato gli iscritti under 30 per rilanciare le politiche giovanili. Di seguito il mio intervento.

A 19 anni mi sono iscritto al PD di San Lazzaro, era il 2015. Nel 2016 il PD a San Lazzaro aveva un’età media degli iscritti di 69 anni. Sono stato l’unico iscritto under 30 fino al 2020. Oggi siamo qui, più di 50 giovani, per portare idee e contenuti.

Nel 2019 c’è stato il congresso, ero pronto per fare il Segretario a San Lazzaro. Venne detto di me che non ero adatto perché ero giovane. Non perché non avevo una maggioranza sufficiente, non perché non ne avevo le capacità, non perché non ero sufficiente in grado di rappresentare. Perché ero troppo giovane.

Le stesse persone che mi dissero di no perché ero giovane, non vedevano l’ora di utilizzarmi come bandierina, perché giovane. Perché i giovani sono in mezzo quando vogliono cose, ma sono centrali quando bisogna fare bella figura.

Io sono fortunato. Nel 2022 a Bologna sono un banale maschio bianco etero. Dobbiamo svegliarci da questo finto progressismo, da un’avanguardia di facciata. Vedo a fianco a me delle ragazze che per ottenere quello che ho ottenuto io ci hanno messo il doppio dell’impegno, il doppio della fatica, il doppio del tempo. Non è solo una narrazione per sembrare di sinistra, è un problema reale, concreto, da affrontare il prima possibile. Un problema da affrontare alla radice. Non basta più lamentarsi che tra le proposte di candidature i nomi femminili sono solo marginali. Con il gruppo giovani del PD di San Lazzaro ci siamo guardati intorno e ci siamo accorti che, in un gruppo aperto a chiunque, senza alcuna barriera o selezione all’ingresso, le ragazze erano comunque in minoranza. Nessuno si permetta nemmeno di pensare che sia per un disinteresse delle giovani. Nessuno si permetta di dare la colpa alle ragazze o ai ragazzi. La narrazione dei giovani disinteressati e disimpegnati ha già da molto fatto il proprio tempo. Da quando abbiamo sei anni andiamo a scuola, ci stiamo fino almeno fino a 16 anni, chi di noi si laurea passa anche 18 anni a studiare. Tra i 10 e i 18 anni di scuola in cui ci viene ripetuto continuamente che questo mondo non è per noi, che le ragazze sono condannate a guadagnare meno dei propri colleghi maschi, che in pensione non ci andremo mai, che non troveremo lavoro perché per noi non c’è. Che questa situazione è ormai irreversibile. Dobbiamo smettere di raccontare cazzate agli studenti. Dobbiamo dirgli che devono impegnarsi, per sé stessi e per la loro comunità. Dobbiamo dirgli che questo mondo si può cambiare, che lo vogliamo cambiare e che ci riusciremo. Il mondo è già cambiato e già sta cambiando.

Sembrano passati secoli dalle grandi conquiste, ma in realtà sono molto più recenti di quanto si pensa. Grazie al PD ho avuto il piacere di conoscere Livia, una compagna di San Lazzaro, nata nel 1947 a Molinella. Livia è stata una di quelle donne che per prime hanno indossato i pantaloni. Ricordo i racconti di mio nonno che veniva deriso perché portava mia mamma in passeggino, era la donna a doversi occupare dei figli. Fatemelo dire apertamente, non penso che la mia virilità possa essere intaccata dai miei istinti paterni, dal voler un giorno essere partecipe in prima persona nel crescere i miei figli, nell’accompagnarli a scuola, nel giocare insieme, nel cambiare i pannolini, nello stare sveglio la notte quando avrà la febbre. Voglio che questi stessi desideri li possano vedere realizzati tutti, anche chi ha orientamenti sessuali diversi dal mio.

Servono profondi mutamenti sociali, dobbiamo essere pronti a combattere la battaglia affinché questi avvengano, non ci vorrà poco, non basterà qualche anno, non basterà qualche mandato amministrativo, ci vorranno decenni. Dobbiamo seminare con la consapevolezza che sarà chi verrà dopo di noi a raccogliere. Siamo noi giovani che possiamo immaginare questi mutamenti di lungo periodo.

I giovani sono il futuro, ma del futuro nessuno se ne preoccupa. Non ci importa se tra qualche decennio non avremo più un paese in cui stare, non importa cosa succederà a noi giovani quando non saremo più giovani. Parlavo con una mia coetanea, le chiedevo come si vedeva tra 10 anni. Mi ha risposto: ”indipendente”. Una battaglia più ardua di quanto era in passato. In questo paese la ricchezza è concentrata nelle mani delle generazioni più anziano e noi non possiamo nemmeno sperare di comprare una casa, di mettere su famiglia. Ci accontentiamo di regalie e bonus. 500€ ai diciottenni, 10.000€ di dotazione ai più giovani. Grazie, dobbiamo ringraziare le generazioni più grandi che ci fanno dono di tanta ricchezza, nella maniera più miope possibile. Uno specchietto per le allodole per dare l’impressione di tenerci ai giovani, quando invece le politiche di investimento vanno da tutt’altra parte. Lo abbiamo affrontato bene in uno studio condotto per Paideia sul blocco dei licenziamenti in periodo pandemico. Sapete che effetto ha avuto il blocco dei licenziamenti? Ha tutelato al massimo gli insider del mondo del lavoro, isolando al massimo gli outsider. Abbiamo costretto i giovani a cercare aiuto, a volte anche chiedendo aiuto ai genitori, trasformando la cassa integrazione come fosse l’unico ammortizzatore sociale. E i bonus sapete chi li paga? Li pagheremo noi, quando dovremo affrontare seriamente il problema del debito pubblico. In un contesto come questo possiamo dircelo: è venuto il momento di smettere di finanziare i servizi pagando con il futuro dei giovani.

Non vogliamo bonus, vogliamo la possibilità di trovare lavoro, che i nostri coetanei in tutto il paese possano trovare lavoro, anche al sud. Siamo le generazioni che non vogliono vivere per lavorare, siamo le generazioni che vogliono lavorare per vivere. Siamo quelli che guardano alla qualità della propria vita. Siamo quelli che preferiscono un lavoro meno retribuito ma in un buon ambiente al lavoro più pagato in assoluto in un ambiente negativo. Abbiamo abbandonato l’idea per cui bisogna lavorare incessantemente per avere valore, la stessa dottrina sulla salute e sicurezza del lavoro ci insegna come il presenzialismo sia un rischio enorme per le persone. Siamo la generazione che non vuole pagare oggi il proprio posto di lavoro con la moneta del proprio futuro. Non possiamo pensare di risolvere il problema della disoccupazione giovanile semplicemente riducendo le spese per i datori di lavoro che assumono giovani. Tutto questo, oltre che essere scarsamente efficace genera debito. I giovani non trovano lavoro non per scarsità della domanda, ma per difficoltà nel match tra domanda e offerta. Dalla scuola di oggi escono giovani che non possiedono né soft skills né hard skills. Il mondo è cambiato ma non siamo stati capaci di adeguare il nostro sistema scolastico al cambiamento.

L’altra sera erro alla festa dell’Unità ed ho incontrato una amica che non sentivo da parecchio tempo, lei ora lavora al Pratello, nelle comunità. Se si commettono reati che comportano l’arresto prima di avere compiuto i 18 anni, la pena che limita le libertà personali può essere l’affidamento da una comunità civile, l’affidamento ad una comunità penale o la detenzione al carcere minorile. In ogni caso, un giovane in obbligo scolastico che viene arresta e condannato alla reclusione non andrà più a scuola, perché nelle carceri minorili non c’è la scuola e la burocrazia impedisce la possibilità di frequentare una scuola pubblica. Questi ragazzi vengono chiusi tra quattro mura, potendo solo giocare alla playstation. Oltre a questo, l’unica cosa che possono fare in autonomia è andare in bagno. Devono farsi la barba? Deve essere un educatore ad accordarglielo e a dargli il rasoio e la schiuma. Vogliono mangiare una merendina, devono chiedere ad un educatore che non la dovrebbe accordare fuori orario. Devono fumare una sigaretta? Stesso discorso. Prendiamo i ragazzi più fragili della nostra comunità e li isoliamo, senza permettergli di studiare, senza che possano realizzarsi in alcun modo durante la permanenza nella custodia dello Stato. Non bisogna stupirsi se poi chi esce nel 90% dei casi commette altri reati.

Ci sono poi tanti altri che non godono a pieno dei propri diritti. Penso ai fuorisede, che hanno le porte sbarrate per votare. Allo stesso modo, perdonate la parentesi, i cittadini dell’area metropolitana nell’elezione del Sindaco. Vogliamo un mondo migliore, combattiamo e combatteremo tutti i giorni per ottenerlo, tanto c’è da fare, ma il lavoro duro non ci spaventa. Da qui oggi inizia un futuro migliore, come diceva Ernesto Che Guevara: “Quando si sogna da soli è un sogno, quando si sogna in due comincia la realtà.” È il momento di sognare, compagni.

Pubblicato da Lorenzo Bernardini

Nato nel 1996. Appassionato di politica sin dai primi anni del liceo. Ho studiato diritto del lavoro all'università di Bologna, oggi lavoro come impiegato in uno studio di consulenza del lavoro. Interessato alla tecnologia per svago.

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